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Un diverso ageing in place, esiti di una ricerca su strutture residenziali “leggere”

Di Giuliana Costa– DASTU- Politecnico di Milano

L’ageing in place, la parola d’ordine lanciata all’inizio degli anni 2000 per orientare le politiche rivolte agli anziani è stata interpretata in modi alquanto diversi in Europa, dando luogo a un ri-orientamento dei servizi di welfare: nei paesi nordici e in quelli continentali caratterizzati da un ampio ricorso all’istituzionalizzazione, si è assistito ad un cospicuo investimento sulla creazione di strutture intermedie tra domicilio e residenze socio-sanitarie mentre nei paesi mediterranei, si è andati verso un timido sviluppo di servizi domiciliari e si è fatto leva sul forte coinvolgimento delle famiglie nel supportare gli anziani a restare a casa propria.

Le strutture “leggere” sono rivolte a persone che conservano un qualche livello di autonomia rispondendo ai tanti e diversi bisogni di sostegno che insorgono con l’avanzare dell’età. Benché in Italia non ci siano state politiche significative tese all’incentivo e sviluppo di tale tipologie di strutture, la casistica già presente nel nostro Paese è davvero ricca benché molto variabile da contesto a contesto. Sotto la stessa dicitura si trovino strutture molto diverse tra loro e la terminologia per riferirvi è ancora molto confusa. Case-famiglia, micro-comunità, residenze comunitarie, alloggi-protetti presentano, almeno negli intenti, alcuni elementi in comune. Primo, quello di costruire una possibilità di buona vita e buon abitare prima che ci si trovi di fronte a situazioni di dipendenza spinta. Secondo, quello di fornire un ambiente dove è possibile trasferirsi anche in tarda età e puntellare tutti gli sforzi di ageing in place che famiglie e comunità locali possono mettere in moto, costruendo filiere di servizi e supporti perché ciò sia fattibile. Non è un caso che il settore della residenzialità non istituzionale, ancora poco regolata, inizi a essere oggetto di attenzione da parte dei policy makers in varie Regioni: in parte perché ci si rende conto che si tratta di soluzioni che rispondono a bisogni effettivi e sempre più plurali delle persone anziane, in parte perché le strutture leggere hanno dei costi inferiori rispetto a quelle più tradizionali, un aspetto certo non trascurabile in questo momento storico. Se è certo che le strutture leggere non rispondono a tutti i problemi insorgenti in età anziana e non sono certo adatte a tutti, è anche certo che costituiscono un importante tassello da integrare in percorsi che si prefiggano di migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano e di coloro che le accompagnano in questo processo.

Foto Ruth Elliso

Gli anziani di oggi non sono quelli di ieri. La de-standardizzazione dei percorsi di vita che ha caratterizzato la società post-fordista ha riguardato anche chi oggi entra nella terza e nella quarta età. Coloro che oggi hanno raggiunto un’età avanzata sono stati esposti ad una pluralità di esperienze di vita ; si tratta di persone che possono esprimere delle progettualità per sé, nel presente e per il futuro. Questa capacità si esprime anche attraverso scelte abitative. Nel corso di una ricerca svolta recentemente in Lombardia (“Abitare Leggero”, finanziata e pubblicata da Fondazione Cariplo), sono state intervistate oltre 100 persone che hanno già traslocato in una struttura leggera (diverse tra loro e dislocate in vari luoghi del territorio) per capire come ci vivono, quali percorsi e motivazioni le hanno portate a compiere tale passo, se sono soddisfatte o meno. Ne sono emersi vari elementi interessanti che ci permettono di affermare che queste soluzioni abbiano una loro validità e come sia opportuno ampliare il ventaglio dei modi di vivere in età anziana anche grazie ad una strumentazione di policy adeguata (ad esempio promuovendo gli interventi caratterizzati dall’inter-generazionalità).