Il sito del Laboratorio di Politiche Sociali

di Matteo Luppi

Matteo Luppi durante la conferenza.

Abbiamo discusso e presentato i primi risultati della nostra ricerca comparativa nella splendida cornice di Copenaghen alla quarta edizione della Trasforming Care Conference, dove ha partecipato un nutrito gruppo di ricercatori IN-AGE.

A chiusura del thematic pannel 11, presentato e gestito dai colleghi di IN-AGE, Marco Arlotti e Mirko Di Rosa, che ha registrato un buon successo sia in termini di partecipazione che di interesse, sono stati presentati i risultati dell’analisi comparativa Europea rispetto alle potenziali trappole dell’ageing in place, ossia le potenziali trappole a cui è esposta la popolazione anziana fragile che risiede nelle proprie abitazioni.

La ricerca presentata affronta la tematica in esame partendo da tre concetti/dimensioni centrali, ossia gli effetti che le caratteristiche individuali, le soluzioni di cura (care arrangement) e le caratteristiche dello spazio abitativo hanno rispetto sia alla qualità della vita che all’isolamento sociale della popolazione anziana fragile. L’importanza di questa ricerca deriva dal fatto che in Italia, così come in Europa, si è assistito ad un forte e crescente ricorso alle soluzioni di cura domiciliare e a una riduzione di quelle residenziali. Questo trend ha accresciuto significativamente la quota di popolazione anziana (e ultra-anziana) con problemi di fragilità che risiede nelle proprie abitazioni — anziché in strutture residenziali -, aumentando l’esposizione di questa popolazione a rischi relativi alla loro condizione. In questo contesto la ricerca presentata si interroga su quali possano essere i fattori di rischio, in termini di bassa qualità della vita e isolamento sociale, che interessano la popolazione anziana fragile. Al fine di non limitare l’attenzione al solo caso italiano e produrre evidenze maggiormente generalizzabili, si è deciso di includere nell’analisi 16 paesi europei, tra cui ovviamente l’Italia, raggruppati in 4 sistemi di welfare, ossia i paesi nordici, i paesi continentali, i paesi del sud Europa e i paesi dell’Europa dell’est e centrale. [1]

Cosa ci dice l’analisi?

In primo luogo, nei paesi del sud e dell’Europa centrale e dell’est, la quota di popolazione che presenta una bassa qualità della vita, così come la quota di coloro che sono inseriti in network sociali “deboli” è maggiore rispetto agli altri due blocchi di paesi considerati. Similarmente, la popolazione anziana di quest’ultimi paesi presenta un numero inferiore di individui che versano in condizioni di fragilità gravi, e al contempo un’importante quota (circa il 20%) di coloro caratterizzati da fragilità medio-lievi. Una precisazione doverosa, al fine di identificare le potenziali trappole connesse con l’ageing in place, è che in questa analisi ci siamo concentrati esclusivamente sulla popolazione anziana fragile, ossia su coloro con un’età non inferiore ai 75 anni e con un livello di fragilità medio-alto[2]. Di conseguenza, l’esclusione dei casi (individui o troppo giovani o troppo “poco fragili”) ha avuto un’incidenza maggiore nei paesi del nord e continentali e meno marcata negli altri due blocchi di paesi. Inoltre, in quest’ultimi, il tasso di copertura dei servizi residenziali è nettamente inferiore ai restanti paesi, con la risultante che un maggior numero di anziani con importanti problemi di fragilità risiede nelle proprie abitazioni.

Qualità della vita. L’analisi identifica nelle limitazioni fisiche e di mobilità il principale fattore di riduzione della qualità della vita. Avere limitazioni fisiche (importanti) risulta essere infatti un forte elemento di rischio rispetto a questa dimensione, mentre le limitazioni cognitive, seppur in relazione negativa alla qualità della vita, hanno un impatto molto più modesto. Altri aspetti negativi risultano essere la presenza di barriere architettoniche che limitano l’accesso al proprio edificio/abitazione, vivere in appartamenti di edilizia popolare e risiedere in grandi città. Inoltre, gli anziani soli, ad esempio vedovi o divorziati, presentano, a prescindere dal livello di fragilità, una probabilità maggiore di avere una qualità della vita inferiore rispetto a coloro che vivono in coppia. Allo stesso tempo, il contatto frequente con i propri figli, ossia quotidiano, risulta avere effetti positivi sulla qualità della vita, mentre, la condizione opposta — scarsità di contatti con i propri figli — si caratterizza come un elemento negativo, anche rispetto a coloro che non hanno figli. Un ulteriore elemento importante risulta essere il reddito familiare, al crescere del quale cresce la qualità della vita. A onore del vero, questo aspetto è particolarmente presente nei paesi del sud e centro-est Europa, mentre è meno marcato nei paesi continentali e assente in quelli nordici, ad indicare l’importanza della “generosità” dei sistemi di welfare rispetto alla qualità della vita della popolazione anziana. Un risultato molto interessante emerso dalla ricerca riguarda la ricezione di supporto domestico e cure sia formali che informali (ossia su base volontaria da parenti/amici). L’analisi identifica una relazione negativa tra la ricezione di supporto domestico sia formale che informale e la qualità della vita, mentre la ricezione di cure personali sembra non influenzare questa dimensione. Anche in questo caso questo aspetto risulta esser più marcato nei paesi del sud Europa. Quest’ultimi risultati sono da leggersi alla luce del ruolo giocato dalle limitazioni fisiche. In altre parole, riteniamo che non sia la ricezione di supporto domestico di per sé a ridurre la qualità della vita, bensì, la condizione di limitazione individuale che è alla base della necessità di tale supporto.

Isolamento sociale. In questo caso le limitazioni fisiche e di mobilità non hanno nessun impatto significativo mentre la presenza di limitazioni cognitive risulta essere un elemento che favorisce l’isolamento della popolazione anziana fragile. Anche l’età, e nello specifico essere molto anziani (+86 anni), aumenta la probabilità di essere inseriti in un social network di bassa “densità”. Come nel caso precedente, abitare in un contesto di edilizia popolare può facilitare l’esclusione sociale quando si è anziani e fragili, mentre la presenza di accorgimenti speciali (esempio adattamento della cucina o dei bagni in base alle esigenze piuttosto che domotica per anziani) così come abitare in ampie abitazioni favorisce l’inclusione degli anziani in reti sociali. L’analisi inoltre evidenzia il ruolo centrale dei figli: avere contatti con essi, a prescindere dalla frequenza, riduce la probabilità di essere esposti all’isolamento sociale rispetto a coloro che non hanno figli. Inoltre, a differenza della qualità della vita, ricevere aiuto e supporto domestico informale facilità l’inclusione degli anziani fragili in network sociali, ma anche in questo caso le cure personali sia informali che formali risultano essere ininfluenti rispetto al rischio di isolamento sociale. I modelli inoltre confermano quanto emergeva già dalle statistiche descrittive: vivere nei paesi del sud e centro-est Europa aumenta la probabilità degli anziani fragili di essere esposti ad isolamento sociale e bassa qualità della vita.

[1] Nello specifico I paesi considerati sono: Danimarca e Svezia (Nordici); Austria, Germania, Francia, Svizzera e Belgio (Continentali); Spagna, Italia, Grecia e Portogallo (Sud Europa); e Repubblica Checa, Slovenia, Croazia, Polonia ed Estonia (Est Europa Centrale). L’analisi si è basata sui dati dell’indagine SHARE (Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe), sesta wave.

[2] Per la definizione del livello di fragilità abbiamo costruito un’apposita scala basata sia sulle limitazioni cognitive che su quelle fisiche e di mobilità.

Il progetto In-Age è finanziato da Fondazione Cariplo  (grant n° 2017–0941).