Marco Arlotti e Costanzo Ranci
Politecnico di Milano, Laboratorio di Politica Sociale
Le case di riposo rappresentano una infrastruttura fondamentale del nostro sistema socio-sanitario in quanto rappresentano una delle poche soluzioni residenziali e di cura possibili per persone afflitte da gravi disabilità, che non le consentono più di vivere permanentemente nella loro abitazione, tanto più se senza familiari vicini o senza una badante convivente.
Le strutture residenziali “ospitano” quasi 300.000 anziani over 65, di cui gran parte sono ultraottantenni (il 75%), donne (il 75%) e non autosufficienti (il 78%). Si tratta di strutture in cui la specializzazione sanitaria e di cura è oggi dominante su quella abitativa o alberghiera: sono sempre meno “case di riposo” e sempre più strutture residenziali a forte intensità sanitaria. Nonostante la funzione cruciale svolta, in Italia queste strutture ospitano meno della metà degli anziani presenti in analoghe strutture di altri paesi avanzati: il segnale di uno scarso investimento in questo settore da parte delle politiche.
Lo studio documenta tre tendenze degli ultimi anni: una spiccata sanitarizzazione, una fragilizzazione progressiva dei ricoverati, e un processo di privatizzazione delle strutture che sta riducendo il peso del settore pubblico. Queste tendenze fanno emergere un diffuso problema di sostenibilità finanziaria. Le strutture residenziali sono infatti finanziate in parte dal Servizio Sanitario Nazionale (che in teoria dovrebbe coprire il 50% dei costi) e in parte dalle tariffe pagate dagli utenti (o dai comuni nel caso di persone indigenti).
L’aumento delle prestazioni sanitarie e di un’utenza con spiccati bisogni assistenziali ha aumentato notevolmente i costi a fronte della invarianza, da diversi anni, della quota sanitaria di finanziamento pubblico. Stretti nella morsa tra costi crescenti e carente finanziamento pubblico, le strutture hanno ricorso ad altre strategie: l’aumento delle tariffe (a scapito degli utenti più poveri), il taglio del personale (soprattutto quello medico, un fatto paradossale se si pensa che si tratta di strutture sempre più sanitarizzate), la rinuncia al rinnovamento degli edifici e delle attrezzature. Sono tutti segnali che da soli non spiegano cosa sta accadendo in questi giorni in tali strutture, ma che segnalano una notevole sofferenza gestionale, in una parte sostanziale determinata da una forte disattenzione politico- amministrativa.
L’emergenza di oggi impone un profondo ripensamento dell’intero settore e una rinnovata attenzione da parte delle politiche a questo importante pezzo del nostro sistema sanitario.