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La Calabria, come tutto il Sud, è stata apparentemente graziata dal Covid-19, se si fa il confronto con le altre regioni italiane.
In parte potrebbe essere considerato merito dei suoi sindaci, molti dei quali hanno letteralmente blindato i loro comuni ai primi segni di contagio, anche se non sono riusciti a controllare il rientro di centinaia di studenti universitari nei giorni immediatamente precedenti il lockdown. In parte è sicuramente merito dei suoi residenti i quali sono stati particolarmente attenti e ligi alle misure di contenimento, anche in ragione della consapevolezza di una rete ospedaliera sottoposta da più di 10 anni a procedura di rientro e quindi a drastici tagli di risorse.

Va anche rilevata la tempestività dei principali poli ospedalieri nella creazione di procedure di pre-triage (tende protezione civile regionale all’esterno), che a Reggio Calabria, ad esempio, era operativo già dal 2 marzo, mentre meno efficiente è stata la risposta in termini di somministrazione di tamponi alle segnalazioni provenienti da privati presso i medici di famiglia e agli operatori sanitari. Ma hanno sicuramente giocato anche altri fattori, ancora non chiaramente identificati, non ultimi il vantaggio di un certo preavviso, rispetto ai primi focolai nel Nord, e la posizione marginale della regione, sia in termini geografici, sia rispetto ai grandi flussi di mobilità per lavoro e turismo.

A ben vedere, tuttavia, le statistiche Calabresi non sono così rosee. Anche in questa regione vi sono state aree particolarmente colpite.

Un report a cura di:

  • Flavia Martinelli, Antonella Sarlo, Francesco Bagnato, Sabrina Vecchio Ruggeri e Alessandro Cilio (Dipartimento Architettura
    e Territorio dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria)
  • Franco Mungari (Auser Calabria)
  • Carmelo Gullì (SPI Reggio Calabria)
  • Paolo Graziano e Antonio Pecorella (Auser ‘Noi ci siamo’, Bovalino)
  • Margherita Plaia (Auser ‘Soccorso’, Reggio Calabria)
  • Serena Flaviano (Auser ‘Solidarietà, Reggio Calabria).

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